L’infibulazione è una tradizione patriarcale, non religiosa, che non riguarda solo il continente africano ma anche paesi come Bolivia, Indonesia, Kurdistan e Yemen. “Ogni giorno nel mondo sono circa ottomila le bimbe coinvolte e in Italia ogni anno due-tremila figlie sono a rischio”, spiega il dottor Aldo Morrone, direttore dell’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie nella povertà.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha distinto quattro tipi differenti di mutilazione a carico dei genitali femminili. La circoncisione (as sunnah) è l’incisione della punta della clitoride con fuoriuscita simbolica di sette gocce di sangue. L’escissione (al uasat) é l’asportazione totale del clitoride con aggiunta del taglio, totale o parziale, delle piccole labbra. L’infibulazione (o circoncisione sudanese) consiste nell’asportazione della clitoride, delle piccole labbra e di parte delle grandi labbra. A questa già di per sé orrenda mutilazione va aggiunta la cucitura della vulva (viene lasciato libero solo un foro per la fuoriuscita di urina e sangue mestruale). Il quarto tipo comprende gli altri tipi di pratiche oggi esistenti.
Nel nostro Paese, la Legge 9 gennaio 2006 n. 7 dà delle disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile; l’infibulazione è vietata e severamente punita (fino a 12 anni di carcere). Le sanzioni non riguardano soltanto coloro che la praticano ma anche i genitori o i parenti che, pur di far infibulare una figlia, rispettando così questa barbara tradizione, la portano all’estero.
“Quest’usanza coinvolge le comunità d’immigrati in Italia”, ha ricordato Emma Bonino, secondo la quale una risoluzione dell’Onu è necessaria “innanzitutto per fare chiarezza su ciò che è reato e ciò che non lo è”, considerando che in molti stati la pratica è ritenuta legale.
Allo scopo di sensibilizzare l’Organizzazione delle Nazioni Unite, la senatrice radicale, ha presentato la campagna promossa dall’associazione di cui è fondatrice, “Non c’è pace senza giustizia”, accompagnata da un’immagine che raffigura una lametta e una penna con lo slogan “Decidi tu che segno lasciare”. Per aderire lasciando il nominativo o contribuire economicamente, si può visitare www.noncepacesenzagiustizia.org/cosa-puoi-fare-tu/ .
Massimo Maravalli
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10 febbraio 2011
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