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L'estremismo morale..

02 giugno 2015

"Omega "3""..

Arquata del Tronto (AP)

La copia della Sacra Sindone tra storia, verità e… “fantasia”.



“Extractum ab originali”, è la frase impressa nella copia del drappo sacro esposto nella chiesa di San Francesco sita a Borgo, una frazione di Arquata del Tronto (AP). Tutto, o quasi, è stato scritto su di essa in libri, articoli e documentazioni varie. Per questo motivo, iniziare un altro elaborato su questo tema, è cosa assai ardua. Il “coraggio”, per intraprendere questa iniziativa, è alimentato solo dalla convinzione che ogni pensiero possa essere espresso liberamente rispettando sempre e comunque quello degli altri. Detto questo, provo ad esprimerlo “nec spes nec metu”. La storia della Sindone di Arquata, come predetto, è già nota, quindi, ne riporto solo le parti salienti semplicemente per far entrare il lettore in sintonia con l’argomento. Come risulta dai documenti rinvenuti, detta copia fu fatta eseguire il primo maggio 1655 su richiesta del vescovo Giovanni Paolo Bucciarelli. In quel periodo il monsignore, era segretario del Cardinale Federico Borromeo cugino di Carlo Borromeo, conosciuto come gran “contemplatore” di Cristo crocifisso e devoto viscerale della Sacra Sindone, poi canonizzato da Papa Paolo V nel 1610 (ndr). L’anno successivo, il “pastore” di origine arquatana morì. Il piccolo comune ascolano, avendo ricevuto in dono questa reliquia, la consegnò ai frati francescani di Borgo che la custodirono con cura e devozione. L’ultima volta che fu messa a contatto con il Sudario torinese, anche se ci sono state altre opportunità più recenti, risale al 1931 in occasione della pubblica ostensione. La sua ultima apparizione in pubblico, invece, è riconducibile al periodo della seconda guerra mondiale. Poi, non se ne seppe più nulla, fino alla ristrutturazione della chiesa dedicata a San Francesco, avvenuta a cavallo tra il 1980 e il 1981. Il telo di lino sacro fu ritrovato ben piegato all’interno di un’urna dorata nascosta dentro una nicchia di un altare. Una storia davvero avvincente che lambisce misteriosamente quella della sindone originale. Questa copia, appunto, non è una semplice raffigurazione del sudario di Torino ma, come già detto, un estratto dall’originale. Ciò dovrebbe significare che l’uomo non ha messo mano alla sua realizzazione. Ci sono tante altre riproduzioni in giro per l’Europa, ma, tutte, hanno delle caratteristiche che si differenziano sia da quella originale sia da quella esposta nel comune piceno. La verità sul telo sindonico è suffragata dalle pergamene rinvenute. Naturalmente, tutti gli atti ritrovati o presenti negli archivi storici, non possono essere messi in discussione in quanto originali, così come sono veritiere, tutte le fonti cui si è attinto per scrivere gli avvenimenti del passato. In altre parole, è come se ci si trovasse di fronte ad una verità incontrovertibile basata su atti coevi di data certa. L’unica incertezza riguarda solo il come sia stata riprodotta, anche se è difficile per i fedeli, non credere a una trasposizione miracolosa. In ogni caso, anche la stessa Sacra Sindone di Torino non ha tutte le peculiarità che ha quella di Arquata del Tronto, anzi, diversi studiosi hanno messo addirittura in discussione la sua autenticità. Naturalmente, è più facile risalire alla creazione di una copia piuttosto che a un originale risalente a più di duemila anni fa. La realtà sul sudario di Arquata, dunque, è “confermata” dalla sua storia. Ora, proprio in base ad avvenimenti realmente accaduti, vengono alla mente delle ipotesi che si basano su fantateorie che possono avere una chiave di lettura del tutto differente. La fantasia, come si sa, al contrario della realtà è creativa e basa le proprie fondamenta sui pensieri “logici” di una visuale intima e immaginaria dando “voce” al proprio estro più recondito e, il suo ruolo più difficile, è proprio quello di mettere in risalto l’invisibilità di una possibile verità, ovvero, far risaltare lo scritto su un foglio bianco senza utilizzare alcun tipo di contrasto. Su quanto anticipato e su quello che seguirà, offro la seguente chiave di lettura: “nullius in verba”. Andiamo per ordine. Molti sanno che la prima “apparizione” della Sacra Sindone è avvenuta in Francia nel 1353 nelle mani di Goffredo di Charny, discendente dell’omonimo cavaliere templare. Questa data è molto importante, infatti, si inserisce perfettamente nel periodo indicato dai risultati scientifici ottenuti nel 1988 in tre laboratori di ricerca diversi, utilizzando una tecnica definita “carbonio 14”. Secondo gli studiosi che hanno eseguito il test, il telo di lino risalirebbe ad un periodo storico che va dal 1260 al 1390. Potrebbe essere, dunque, quello che ha avvolto un uomo crocifisso ma non sarebbe lo stesso utilizzato per coprire Gesù. La risposta di queste analisi combacia perfettamente anche con i documenti ufficiali della Chiesa. Nel 1390, infatti, Papa Clemente VII su indicazione del vescovo di Troyes (luogo dove furono ufficializzati i cavalieri templari), emanò quattro bolle con le quali permise sì l’ostensione ma con l’obbligo di dire a voce alta, che il telo non era il vero sudario di nostro Signore Gesù Cristo ma un semplice dipinto fatto a sua imitazione. Davvero curioso. D’altro canto, invece, alcuni studiosi che tentano di ricostruire la storia della Sacra Sindone per il periodo antecedente al XIII secolo, sostengono che il sudario sia proprio il Mandylion o “immagine di Edessa”. Esso è rappresentato come un telo di piccole dimensioni che raffigurava solo il volto del Cristo, conservato appunto a Edessa (oggi Urfa) in Turchia dal 544 al 944 d.C., per poi essere trasferito a Costantinopoli. Sempre secondo loro, sarebbe rimasta lì fino al 1204, quando la città fu saccheggiata dai crociati che nella circostanza asportarono molte reliquie. Per rendere verosimile la loro tesi, ipotizzano che il piccolo telo di lino non era altro che la Sacra Sindone ripiegata su se stessa per otto volte e chiusa in un apposito reliquario che consentiva di vederne solo il volto. In questo modo, si oppongono fermamente alla datazione del sudario stabilita con l’innovativa tecnica del carbonio 14. Strano, ci si chiede com’è possibile sostenere così fortemente quest’ultima teoria se un pontefice ha “ammesso” ufficialmente che il lenzuolo di cui trattasi è falso? Bene, anche questa è supportata da una bolla papale del 1506 emanata da S.S. Giulio II, con la quale ribaltò il giudizio del suo predecessore e ne autorizzò il culto pubblico con regolare messa e Ufficio proprio. La situazione sembra ingarbugliarsi, difficile esprimersi sia a favore che contro. Questo chiarimento ufficiale della Santa Sede, comunque, consentì la diffusione delle copie della Sindone, tra le quali appunto quella di Arquata. Ritornando alla sindone originale, voglio raccontare un aneddoto storico molto singolare. Il 4 dicembre 1532 la reliquia rischiò di essere distrutta a causa di un incendio avvenuto nel luogo in cui si trovava: la Sainte Chapelle del castello di Chambéry. Cosa c’è di così singolare? Presto detto: dopo il rogo, il duca di Savoia, titolare della reliquia, chiese poi a papa Clemente VII di Roma, di nominare una commissione per eseguire un controllo sul lenzuolo sacro; S.S. incaricò alcuni vescovi che, dopo averla esaminata, il 15 aprile del 1534 certificarono che il telo era sicuramente quello autentico. Incredibile, cosa spinse il monarca a fare questa richiesta? Aveva forse notato qualche divergenza tra il telo precedente e quello uscito incolume dalle fiamme? Difficilmente si potrà sapere ma un fatto è certo, il Duca fece fare l’accertamento. Dopo questo avvenimento, la Sacra Sindone si spostò in varie parti d’Europa facendo ritorno a Chambéry. In seguito, i Savoia trasferirono la loro capitale a Torino ma il cimelio rimase in Francia. Come già accennato, uno dei più grandi devoti del lenzuolo funebre di Cristo, fu Carlo Borromeo. Questi, nel 1578, per sciogliere un voto fatto durante la pestilenza di Milano avvenuta nei due anni precedenti, decide di recarsi a piedi a Chambéry a far visita al telo che riportava impressa l’immagine del corpo di Cristo crocifisso. Emanuele Filiberto, sapute le sue intenzioni, per abbreviare il viaggio dell'illustre prelato, dispose lo spostamento della reliquia a Torino. Il viaggio del cardinale durò solo quattro giorni e, una volta giuntovi, si mise in preghiera davanti alla reliquia e partecipò alle quaranta ore di ostensione. Da allora, salvo qualche breve trasloco, qui è rimasta e in seguito, Umberto II di Savoia, ultimo Re d’Italia, la donò al Papa. Queste particolari situazioni storiche, m’inducono a pormi questa domanda: devo credere a quelli che dicono che la Sacra Sindone è vera oppure a chi afferma il contrario? Al di la del fatto che la risposta non dovrebbe minimamente intaccare la fede di nessuno, formulo delle mere ipotesi che possano mettersi in contrasto con il “vuoto” creato dalle ambigue informazioni ufficiali. Ai sostenitori dell’autenticità del telo sindonico e ai credenti vorrei ricordare che la persona raffigurata nel telo miracoloso di Torino, oltre alla datazione accertata da scienziati di tutto rispetto con il metodo del carbonio 14, sembrerebbe riportare la frattura del setto nasale (osso etmoide). Che cosa vuol dire? A mio avviso, ciò non corrisponderebbe con quanto indicato nelle scritture (Isaia): “nessun osso gli sarà spezzato” e quindi con le stesse parole di Dio in quanto per spezzato si intende rotto (nisi crediteritis non intelligetis). La Sindone di Arquata, come già detto in preambolo, è un “Extractum ab originali”, cioè, un’immagine creatasi con la sola trasposizione della stessa con quella originale. Oltre alle tante differenze oggettive tra i due teli (tra le quali il naso), osservandola attentamente viene da chiedersi: perché non si fa uno studio approfondito sull’autenticità della stessa che possa diramare i dubbi dei credenti e dire con certezza che l’uomo non è l’artefice di tale immagine? Sarebbe interessante svelare l’arcano della Sindone originale con l’aiuto di una “copia”. Si teme forse di fornire prova certa? Non so, ma penso che gli “interessati” non debbano sapere o avere alcuna certezza fino a quando non arriverà il “momento” opportuno. “Onus probandi fidelibus”!  (Massimo Maravalli)

Articolo già postato ad aprile 2011

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