16 aprile 2010

L'invidia vaga anche tra le ferme mura...

La prima voce che passò volando "Vinum non habent" altamente disse, e dietro a noi l'andò reiterando. E prima che del tutto non si udisse per allungarsi, un'altra "I' sono Oreste" passò gridando, e anco non s'affisse. «Oh!», diss'io, «padre, che voci son queste?». E com'io domandai, ecco la terza dicendo: "Amate da cui male aveste". E 'l buon maestro:«Questo cinghio sferza la colpa de la invidia, e però sono tratte d'amor le corde de la ferza. Lo fren vuol esser del contrario suono; credo che l'udirai, per mio avviso, prima che giunghi al passo del perdono. Ma ficca li occhi per l'aere ben fiso, e vedrai gente innanzi a noi sedersi, e ciascuno è lungo la grotta assiso». Allora più che prima li occhi apersi; guarda'mi innanzi, e vidi ombre con manti al color de la pietra non diversi. A me pareva, andando, fare oltraggio, veggendo altrui, non essendo veduto: per ch'io mi volsi al mio consiglio saggio. Ben sapev'ei che volea dir lo muto; e però non attese mia dimanda, ma disse:«Parla, e sie breve e arguto». Volsimi a loro e «O gente sicura», incominciai, «di veder l'alto lume che 'l disio vostro solo ha in sua cura, se tosto grazia resolva le schiume di vostra coscienza sì che chiaro per essa scenda de la mente il fiume, ditemi, ché mi fia grazioso e caro, s'anima è qui tra voi che sia latina; e forse lei sarà buon s'i' l'apparo». «O frate mio, ciascuna è cittadina d'una vera città; ma tu vuo' dire che vivesse in Italia peregrina». Questo mi parve per risposta udire più innanzi alquanto che là dov'io stava, ond'io mi feci ancor più là sentire. D. C. - Purgatorio, Canto XIII, Versi 28 – 48; 73 – 78 e 85 – 99.

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