27 luglio 2011

Saggezza irrazionale...

Questo messaggio lo dedico ai folli.
A tutti coloro che vedono le cose in modo diverso.
Potete citarli...
Essere in disaccordo con loro...
Potete glorificarli o denigrarli, ma l'unica cosa che non potete fare è ignorarli!
Perchè riescono a cambiare le cose.
E mentre qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo il genio.
Perchè solo coloro che sono abbastastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero. (Gandhi)

30 giugno 2011

L'invidia sovrasta le persone sciocche...

Vecchia fama nel mondo li chiama orbi; gent'è avara, invidiosa e superba: dai lor costumi fa che tu ti forbi. La tua fortuna tanto onor ti serba, che l'una parte e l'altra avranno fame di te; ma lungi fia dal becco l'erba. Divina Commedia - Inferno, Canto XV, Versi 67 - 72
L' etimologia della parola è il verbo invideo, cioè guardo dentro in una persona e provo dispiacere per il suo bene, il suo successo, le sue qualità morali o spirituali. E' un vizio vergognoso perchè è tristezza del bene altrui, considerato come dimunutivo del proprio valore personale: ecco perchè l' invidia non si manifesta esteriormente se non con la calunnia, la diffamazione e l' assassinio (da anima.inquieta).

16 giugno 2011

Visura dell'inconscio...

Occhio alla propria copia difforme..

12 giugno 2011

Gesta indelebili...

C'era una volta un ragazzo con un brutto carattere.
Suo padre gli diede un sacchetto di chiodi e gli disse di piantarne uno nello steccato del giardino ogni volta che avesse perso la pazienza e litigato con qualcuno. Il primo giorno il ragazzo piantò 37 chiodi nello steccato. Nelle settimane seguenti, imparò a controllarsi e il numero di chiodi piantati nello steccato diminuì giorno per giorno: aveva scoperto che era più facile controllarsi che piantare i chiodi. Finalmente arrivò un giorno in cui il ragazzo non piantò alcun chiodo nello steccato. Allora andò dal padre e gli affermò che per quel giorno non aveva piantato alcun chiodo. Il padre allora gli disse di levare un chiodo dallo steccato per ogni giorno in cui non aveva perso la pazienza e litigato con qualcuno. I giorni passarono e finalmente il ragazzo poté dire al padre che aveva levato tutti i chiodi dallo steccato. Il padre portò il ragazzo davanti allo steccato e gli disse: "Figlio mio, ti sei comportato bene ma guarda quanti buchi ci sono nello steccato. Lo steccato non sarà più come prima. Quando litighi con qualcuno e gli dici qualcosa di brutto, gli lasci una ferita come queste. Puoi piantare un coltello in un uomo, e poi levarlo, ma rimarrà sempre una ferita. Non importa quante volte ti scuserai, la ferita rimarrà." (Da internet)

06 giugno 2011

Il Festival delle frontiere (Tenda Berbera)

                                                                                   
Il convegno tenuto dalla nota femminista islamica Malika Hamidi che prosegue senza tentennamenti la sua lunga battaglia a favore dei diritti delle donne.

http://frontierenews.it/2011/06/frontiere-news-al-festival-delle-culture-di-ravenna/


02 giugno 2011

Profonda Mente: uno ha tradito, ricordi?

 Erano undici o dodici gli apostoli ai quali è apparso il Risorto?
Nel versetto 5 cp. 15 di I Corinti si parla di «Gesù... apparso a Cefa e quindi ai Dodici». Vorrei una spiegazione teologica: perché si parla di dodici Apostoli e non di undici come erano in realtà? Giuda Iscariota non c’era più e ancora non era stato eletto Mattia a sostituirlo. In altri documenti, vedi Atti 1,13 ci sono anche i nomi degli undici (non dodici) Apostoli. In Lc 24,9 ugualmente si citano gli undici e così via.
Elena

Risponde don Stefano Tarocchi, Preside della Facoltà Teologica e docente di Teologia biblica



«Vi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me…» (1 Cor 15,3-8).

Il testo cui la domanda si riferisce, tratto dalla prima lettera di Paolo alla comunità di Corinto, contiene una delle più antiche confessioni di fede sulla risurrezione di Gesù, come troviamo anche in Rom 1,3-4: «il Vangelo … riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore».

Entrambi i testi riferiscono uno stadio della tradizione precedente all’apostolo, come lui stesso dichiara espressamente: «Vi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto» (1 Cor 15,3), e riguardo all’Eucaristia: «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane...» (1 Cor 11,23). I verbi che qui sono usati («trasmettere» - «ricevere») richiamano quelli usati nella tradizione rabbinica, quando un maestro consegnava oralmente al suo discepolo ciò che egli sapeva per via di un’analoga trasmissione.

Quanto all’insegnamento sulla risurrezione, ci si è interrogati se originariamente non fosse addirittura formulato nella lingua aramaica, o direttamente in quella greca, così come Paolo lo accoglie nel suo scritto, facendolo proprio. L’ipotesi migliore sembra la seconda, e ci riporta alla chiesa di Antiochia, in cui Paolo è presente dagli inizi degli anni 40 dell’era cristiana. La formula, tuttavia, è certamente più antica: si può dire che risale fino al decennio precedente, praticamente all’indomani della stessa risurrezione di Gesù.

La frase è costituita da quattro verbi: «morì», «fu sepolto», «è risuscitato il terzo giorno», «apparve», ma solo il primo e il terzo sono fondamentali nell’annuncio. Gli altri due verbi sono le conseguenze del centro dell’avvenimento: «Colui che è morto è stato risuscitato». E soprattutto, la sua morte è avvenuta «per i nostri peccati», come compimento delle Scritture (affermato due volte!).

Quanto alle manifestazioni del Risorto, ossia i momenti in cui i discepoli percepiscono l’avvenuta novità di vita, operata su Gesù, esse sono consegnate alla nostra fede. La lettrice giustamente avverte la difficoltà di interpretare il fatto che, mentre in 1 Corinzi si parla di «Dodici», di fatto dopo la risurrezione i discepoli sono soltanto undici, come affermano il vangelo di Luca e il libro degli Atti. Così leggiamo che le donne ritornate dal sepolcro «annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri» (Lc 24,9), e i due discepoli di Emmaus «partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro» (Lc 24,33). Così Mattia «fu associato agli undici apostoli» (At 1,26), i cui nomi sappiamo dalla lista di At 1,13.

Per la verità, questo particolare non sembra importante nelle manifestazioni di Gesù raccontate nel vangelo di Giovanni (Gv 20,18.19.26). Si parla solo di alcuni «discepoli» nell’episodio del mare di Galilea (cf. Gv 21,1-2.14). C’è però un dettaglio, che potrebbe far luce sull’intera questione: quando parla di Tommaso, il Vangelo di Giovanni dice: «uno dei Dodici, chiamato Dìdimo» (Gv 20,24; cf. 20,26; 21,2), senza preoccuparsi della sorte di Giuda dopo la passione.

Si può allora affermare che, anche nella lettera ai Corinzi, il numero Dodici, abbia un contenuto che va oltre il significato indicato dalla semplice cifra. Per essere precisi, in alcune tradizioni testuali della lettera di Paolo (dal V secolo in poi), i copisti tentarono di armonizzare l’apparente incoerenza, sostituendo «dodici» con «undici», ma senza reale necessità. Infatti, il numero Dodici indica qualcosa che richiama la scelta di Gesù, dal «valore ideale e quasi sacrale, intoccabile» (R. Penna): per cui prima si parla di Pietro da solo («apparve a Cefa») e quindi dei «Dodici».
http://www.novena.it/il_teologo_risponde/teologo_risponde_33.htm

30 maggio 2011

Osserva Re

L'alto Monte..

..Chiara é la vostra luce, una "lanterna" é la vostra guida, una grande perdita sarebbe il Suo sostegno, una gioia "invisibile" solo agli occhi tenebrosi dei "nottambuli"......



05 aprile 2011

Differenze identiche..



Estratto dall'originale telo o dall'originale corpo?

Arquata del Tronto (AP)

La copia della Sacra Sindone tra storia, verità e… “fantasia”.


“Extractum ab originali”, è la frase impressa nella copia del drappo sacro esposto nella chiesa di San Francesco sita a Borgo, una frazione di Arquata del Tronto (AP). Tutto, o quasi, è stato scritto su di essa in libri, articoli e documentazioni varie. Per questo motivo, iniziare un altro elaborato su questo tema, è cosa assai ardua. Il “coraggio”, per intraprendere questa iniziativa, è alimentato solo dalla convinzione che ogni pensiero possa essere espresso liberamente rispettando sempre e comunque quello degli altri. Detto questo, provo ad esprimerlo “nec spes nec metu”. La storia della Sindone di Arquata, come predetto, è già nota, quindi, ne riporto solo le parti salienti semplicemente per far entrare il lettore in sintonia con l’argomento. Come risulta dai documenti rinvenuti, detta copia fu fatta eseguire il primo maggio 1655 su richiesta del vescovo Giovanni Paolo Bucciarelli. In quel periodo il monsignore, era segretario del Cardinale Federico Borromeo cugino di Carlo Borromeo, conosciuto come gran “contemplatore” di Cristo crocifisso e devoto viscerale della Sacra Sindone, poi canonizzato da Papa Paolo V nel 1610 (ndr). L’anno successivo, il “pastore” di origine arquatana morì. Il piccolo comune ascolano, avendo ricevuto in dono questa reliquia, la consegnò ai frati francescani di Borgo che la custodirono con cura e devozione. L’ultima volta che fu messa a contatto con il Sudario torinese, risale al 1931 in occasione della pubblica ostensione. La sua ultima apparizione in pubblico, invece, è riconducibile al periodo della seconda guerra mondiale. Poi, non se ne seppe più nulla, fino alla ristrutturazione della chiesa dedicata a San Francesco, avvenuta a cavallo tra il 1980 e il 1981. Il telo di lino sacro fu ritrovato ben piegato all’interno di un’urna dorata nascosta dentro una nicchia di un altare. Una storia davvero avvincente che lambisce misteriosamente quella della sindone originale. Questa copia, appunto, non è una semplice raffigurazione del sudario di Torino ma, come già detto, un estratto dall’originale. Ciò dovrebbe significare che l’uomo non ha messo mano alla sua realizzazione. Ci sono tante altre riproduzioni in giro per l’Europa, ma, tutte, hanno delle caratteristiche che si differenziano sia da quella originale sia da quella esposta nel comune piceno. La verità sul telo sindonico è suffragata dalle pergamene rinvenute. Naturalmente, tutti gli atti ritrovati o presenti negli archivi storici, non possono essere messi in discussione in quanto originali, così come sono veritiere, tutte le fonti cui si è attinto per scrivere gli avvenimenti del passato. In altre parole, è come se ci si trovasse di fronte ad una verità incontrovertibile basata su atti coevi di data certa. L’unica incertezza riguarda solo il come sia stata riprodotta, anche se è difficile per i fedeli, non credere a una trasposizione miracolosa. In ogni caso, anche la stessa Sacra Sindone di Torino non ha tutte le peculiarità che ha quella di Arquata del Tronto, anzi, diversi studiosi hanno messo addirittura in discussione la sua autenticità. Naturalmente, è più facile risalire alla creazione di una copia piuttosto che a un originale risalente a più di duemila anni fa. La realtà sul sudario di Arquata, dunque, è “confermata” dalla sua storia. Ora, proprio in base ad avvenimenti realmente accaduti, vengono alla mente delle ipotesi che si basano su fantateorie che possono avere una chiave di lettura del tutto differente. La fantasia, come si sa, al contrario della realtà è creativa e basa le proprie fondamenta sui pensieri “logici” di una visuale intima e immaginaria dando “voce” al proprio estro più recondito e, il suo ruolo più difficile, è proprio quello di mettere in risalto l’invisibilità di una possibile verità, ovvero, far risaltare lo scritto su un foglio bianco senza utilizzare alcun tipo di contrasto. Su quanto anticipato e su quello che seguirà, offro la seguente chiave di lettura: “nullius in verba”. Andiamo per ordine. Molti sanno che la prima “apparizione” della Sacra Sindone è avvenuta in Francia nel 1353 nelle mani di Goffredo di Charny, discendente dell’omonimo cavaliere templare. Questa data è molto importante, infatti, si inserisce perfettamente nel periodo indicato dai risultati scientifici ottenuti nel 1988 in tre laboratori di ricerca diversi, utilizzando una tecnica definita “carbonio 14”. Secondo gli studiosi che hanno eseguito il test, il telo di lino risalirebbe ad un periodo storico che va dal 1260 al 1390. Potrebbe essere, dunque, quello che ha avvolto un uomo crocifisso ma non sarebbe lo stesso utilizzato per coprire Gesù. La risposta di queste analisi combacia perfettamente anche con i documenti ufficiali della Chiesa. Nel 1390, infatti, Papa Clemente VII su indicazione del vescovo di Troyes (luogo dove furono ufficializzati i cavalieri templari), emanò quattro bolle con le quali permise sì l’ostensione ma con l’obbligo di dire a voce alta, che il telo non era il vero sudario di nostro Signore Gesù Cristo ma un semplice dipinto fatto a sua imitazione. Davvero curioso. D’altro canto, invece, alcuni studiosi che tentano di ricostruire la storia della Sacra Sindone per il periodo antecedente al XIII secolo, sostengono che il sudario sia proprio il Mandylion o “immagine di Edessa”. Esso è rappresentato come un telo di piccole dimensioni che raffigurava solo il volto del Cristo, conservato appunto a Edessa (oggi Urfa) in Turchia dal 544 al 944 d.C., per poi essere trasferito a Costantinopoli. Sempre secondo loro, sarebbe rimasta lì fino al 1204, quando la città fu saccheggiata dai crociati che nella circostanza asportarono molte reliquie. Per rendere verosimile la loro tesi, ipotizzano che il piccolo telo di lino non era altro che la Sacra Sindone ripiegata su se stessa per otto volte e chiusa in un apposito reliquario che consentiva di vederne solo il volto. In questo modo, si oppongono fermamente alla datazione del sudario stabilita con l’innovativa tecnica del carbonio 14. Strano, ci si chiede com’è possibile sostenere così fortemente quest’ultima teoria se un pontefice ha “ammesso” ufficialmente che il lenzuolo di cui trattasi è falso? Bene, anche questa è supportata da una bolla papale del 1506 emanata da S.S. Giulio II, con la quale ribaltò il giudizio del suo predecessore e ne autorizzò il culto pubblico con regolare messa e Ufficio proprio. La situazione sembra ingarbugliarsi, difficile esprimersi sia a favore che contro. Questo chiarimento ufficiale della Santa Sede, comunque, consentì la diffusione delle copie della Sindone, tra le quali appunto quella di Arquata. Ritornando alla sindone originale, voglio raccontare un aneddoto storico molto singolare. Il 4 dicembre 1532 la reliquia rischiò di essere distrutta a causa di un incendio avvenuto nel luogo in cui si trovava: la Sainte Chapelle del castello di Chambéry. Cosa c’è di così singolare? Presto detto: dopo il rogo, il duca di Savoia, titolare della reliquia, chiese poi a papa Clemente VII di Roma, di nominare una commissione per eseguire un controllo sul lenzuolo sacro; S.S. incaricò alcuni vescovi che, dopo averla esaminata, il 15 aprile del 1534 certificarono che il telo era sicuramente quello autentico. Incredibile, cosa spinse il monarca a fare questa richiesta? Aveva forse notato qualche divergenza tra il telo precedente e quello uscito incolume dalle fiamme? Difficilmente si potrà sapere ma un fatto è certo, il Duca fece fare l’accertamento. Dopo questo avvenimento, la Sacra Sindone si spostò in varie parti d’Europa facendo ritorno a Chambéry. In seguito, i Savoia trasferirono la loro capitale a Torino ma il cimelio rimase in Francia. Come già accennato, uno dei più grandi devoti del lenzuolo funebre di Cristo, fu Carlo Borromeo. Questi, nel 1578, per sciogliere un voto fatto durante la pestilenza di Milano avvenuta nei due anni precedenti, decide di recarsi a piedi a Chambéry a far visita al telo che riportava impressa l’immagine del corpo di Cristo crocifisso. Emanuele Filiberto, sapute le sue intenzioni, per abbreviare il viaggio dell'illustre prelato, dispose lo spostamento della reliquia a Torino. Il viaggio del cardinale durò solo quattro giorni e, una volta giuntovi, si mise in preghiera davanti alla reliquia e partecipò alle quaranta ore di ostensione. Da allora, salvo qualche breve trasloco, qui è rimasta e in seguito, Umberto II di Savoia, ultimo Re d’Italia, la donò al Papa. Queste particolari situazioni storiche, m’inducono a pormi questa domanda: devo credere a quelli che dicono che la Sacra Sindone è vera oppure a chi afferma il contrario? Al di la del fatto che la risposta non dovrebbe minimamente intaccare la fede di nessuno, formulo delle mere ipotesi che possano mettersi in contrasto con il “vuoto” creato dalle ambigue informazioni ufficiali. Ai sostenitori dell’autenticità del telo sindonico e ai credenti vorrei ricordare che la persona raffigurata nel telo miracoloso di Torino, oltre alla datazione accertata da scienziati di tutto rispetto con il metodo del carbonio 14, presenta la frattura del setto nasale. Che cosa vuol dire? A mio avviso, anche se il setto nasale non può essere considerato un vero osso, ciò non corrisponderebbe con quanto scritto dal profeta Isaia: “nessun osso gli sarà spezzato” e quindi anche con le parole di Dio (vedi il Volto, nisi crediteritis non intelligetis). La Sindone di Arquata, come già detto in preambolo, è un “Extractum ab originali”, cioè, un’immagine creatasi con la sola trasposizione. Oltre alle tante differenze oggettive tra i due teli (tra le quali il naso, le spalle cadenti, capelli e sangue), osservandola attentamente viene da chiedersi: perché non si fa uno studio approfondito sull’autenticità della stessa che possa diramare i dubbi dei credenti e dire con certezza che l’uomo non è l’artefice di tale immagine? Sarebbe interessante svelare l’arcano della Sindone originale con l’aiuto di una “copia”. Si teme forse di fornire prova certa? Non so, ma penso che gli “interessati” non debbano sapere o avere alcuna contezza fino a quando non arriverà il “momento” opportuno. “Onus probandi fidelibus”!  (Massimo Maravalli)

18 marzo 2011

Il nucleo dell'universo...

Or ti riman, lettor, sovra 'l tuo banco, dietro pensando a ciò che si preliba, s'esser vuoi lieto assai prima che stanco. Messo t'ho innanzi: omai per te ti ciba; ché a sé torce tutta la mia cura quella materia ond'io son fatto scriba. Lo ministro maggior de la natura, che del valor del ciel lo mondo imprenta e col suo lume il tempo ne misura, con quella parte che sù si rammenta congiunto, si girava per le spire in che più tosto ognora s'appresenta; D. C. - Paradiso, Canto X, Versi 22 - 33

17 marzo 2011

Fondamenta minacciate..

A questo invito vegnon molto radi: o gente umana, per volar sù nata, perché a poco vento così cadi?

D. C. - Purgatorio, Canto XII, Versi 94 - 96

12 marzo 2011

Un pizzico di zenzero..

Aforisma sugli aforismi. Leggilo attentamente, ti potrebbe tornare utile:
"A volte è meglio tacere e sembrare stupidi che aprir bocca e togliere ogni dubbio.." (Oscar Wilde)





Levare l'ancora..

Ond'io per lo tuo me' penso e discerno che tu mi segui, e io sarò tua guida, e trarrotti di qui per loco etterno, ove udirai le disperate strida, vedrai li antichi spiriti dolenti, ch'a la seconda morte ciascun grida; e vederai color che son contenti nel foco, perché speran di venire quando che sia a le beate genti. A le quai poi se tu vorrai salire, anima fia a ciò più di me degna: con lei ti lascerò nel mio partire; ché quello imperador che là sù regna, perch'i' fu' ribellante a la sua legge, non vuol che 'n sua città per me si vegna. In tutte parti impera e quivi regge; quivi è la sua città e l'alto seggio: oh felice colui cu' ivi elegge!». E io a lui:«Poeta, io ti richeggio per quello Dio che tu non conoscesti, acciò ch'io fugga questo male e peggio, che tu mi meni là dov'or dicesti, sì ch'io veggia la porta di san Pietro e color cui tu fai cotanto mesti». Allor si mosse, e io li tenni dietro. D. C. - Inferno, Canto I, Versi 112 - 136

11 marzo 2011

Gemelli svelati..

Tra i segni d’Aria, quello dei Gemelli è il più simpatico. Pensa alle farfalle che volteggiano di fiore in fiore nell’aria profumata e leggera, guarda l’uccello che vola libero nel cielo, ascolta il suo canto e avrai l’immagine dei Gemelli. Il suo ideogramma si compone di 2 bastoni verticali, legati orizzontalmente alla loro estremità. Fa pensare, tra le altre cose, alla cassa toracica con i due lobi polmonari, alla respirazione “inspir” e “espir”, alla comunicazione. E’ il secondo segno “umano” che incontriamo dopo la Vergine. (Il Sagittario era metà bestia, metà umano) La Vergine e i Gemelli hanno in comune lo stesso Maestro “Mercurio”, pianeta dell’intelligenza, del movimento, degli scambi, dell’adattamento. Ma la Vergine è un segno di Terra, quindi predomina la praticità e Mercurio ha un ruolo strettamente razionale, analitico, attento ai dettagli, al servizio del lavoro, di un risultato. Per i Gemelli è ben diverso, la sua natura è tutta aerea, sia nell’aspetto fisico, nel modo di muoversi, sia nell’utilizzo della sua mente. L’ampiezza del campo della sua coscienza è impressionante e lo rende spesso distratto, indeciso. Le impressioni che riceve sono fugace e mobili, non lasciano traccia. Per questo motivo sembra superficiale e inconstante. Invece è dotato di una grande curiosità, insaziabile direi, è goloso di tutto quello che la sua mente scopre e ha sempre voglia di sperimentare le sue nuove scoperte. Per questo motivo la persona nata sotto questo segno cambierà spesso lavoro, hobby e amori... Osservala in una riunione di amici: è capace di sostenere diverse conversazioni contemporaneamente, l’orecchio teso anche a quello che dicono gli altri. E’ in grado di parlare di qualsiasi argomento. Mi ricordo, avevo un amico nato sotto questo segno che mi diceva: occorre sapere un po’ di tutto così da essere in grado di inserirsi in qualsiasi discorso. I Gemelli sono considerati come un segno “doppio”, la loro bipolarità è una delle loro caratteristiche. La personalità è divisa in una parte conscia il cui centro è il sé, e una parte inconscia. Intellettuale e materialista, maschile e femminile, attivo e passivo, sensibile e cerebrale, intuitivo e razionale. Alla base c’è un sentimento di sdoppiamento. Come se una parte di sé fosse quella che agisce e l’altra lo spettatore, ma non solo, anche lo giudice. Se ci pensi, questo modo di essere è una qualità! Lo yoga insegna una pratica simile per conoscere sé stessi.


Invece, nei Gemelli questa constante dualità genera una grande ansietà che nascondono. Il continuo parlare di questi individui sembra essere uno dei loro strumenti per dimenticare la propria angoscia. E’ l’unico segno dello zodiaco capace di parlare senza fine per non dire nulla. Guardalo quando parla: la mobilità del suo viso, anche le mimiche, lo sguardo vivo, il gesto della mano, il camminare avanti e indietro, tutto il suo corpo è in movimento. Questo segno è il più mobile dello zodiaco. Per lui, più che per tutti gli altri, la vita è movimento. In questo assomiglia all’Ariete e al Sagittario. Le sue reazioni sono immediate, il pensiero si sposta con una rapidità incredibile su tutto quello che è a portata della sua sensorialità. Questa velocità psico-motoria nasce dalla necessità interiore di cambiamento. Non cercare di mettere questo individuo in gabbia, morirebbe. I Gemelli amano l’indipendenza e la libertà, non hanno il senso dell’attaccamento né ai luoghi, né alle cose, né agli altri esseri umani. Del resto, non hanno il senso della fedeltà. Spesso hanno una doppia vita; doppio lavoro, doppia relazione sentimentale... Ma sono talmente simpatici questi Gemelli! Ricordo, come sempre, che studiamo il segno puro dei Gemelli... l’insieme degli elementi della carta natale apporterà delle modifiche più o meno importanti a questa base del segno. Comunque i Gemelli stabiliscono rapidamente dei rapporti gradevoli con gli altri. Sanno creare un ambiente piacevole, gioiso, fatto di spensieratezza. Sanno farti sorridere quando hai voglia di piangere. Perché i veri Gemelli sono divertenti, comici, clowneschi! Non ti sorprenderà sapere che sono degli ottimi attori, cantanti e ballerini. Eterni adolescenti, tragono la forza del loro carattere nella straordinaria facoltà che hanno di adattarsi. Si trovano a loro agio in qualsiasi circostanze e, tale quale un camaleonte, riescono ad identificarsi alle persone. Questa capacità di mimetizzarsi può condurli ad una pericolosa instabilità, instabilità che esprime anche la voglia di sperimentare i propri desideri in tutte le direzioni della vita. Ti ricordo che il Gemelli elabora la sua personalità attraverso gli scambi tra lui e l’ambiente in cui vive. Egli si rispecchia nello sguardo degli altri. Il suo motto: comunicare. E’ un vantaggio nelle relazioni di lavoro. A lui piace lavorare in collaborazione con il gruppo, in un ambiente giovane. Non teme l’autorità del “Capo”, perché trova sempre il modo di farsi voler bene e, in caso di conflitto, ne esce sempre con una pirouette. Con i suoi colleghi c’è sempre molta cordialità ed è incline allo scherzo. Con i subalterni le cose sono più difficili, non sempre riesce a farsi ubbidire... Ma il suo ruolo è molto preciso nell’impresa in cui lavora: è un intermediario abile tra il Capo e il subalterno, l’interprete delle loro intenzioni. Ha il dono di spiegare come si esegue il lavoro, sa redigere i rapporti di lavoro e stabilire i contatti tra i vari servizi. Questo ruolo di istruttore, di segretario tutto fare è il suo e lo interpreta perfettamente. Si può vedere benissimo in lui un perfetto segretario di sindacato. Riesce nella vita, perché ha il senso della diplomazia e la capacità di cavarsela in ogni situazione. Sa di non avere una grande laboriosità, di essere anche pigro, ma sa anche di essere intelligente e astuto. Infatti questo segno è il più malizioso, imbroglione e furbo dello zodiaco. Hai presente la favola “il corvo e la volpe” di Jean de la Fontaine, tratta da Esopo? Ebbene, il nostro Gemelli è la volpe... Opportunista, egli sa prendere al volo le buone occasioni! Il suo dono per l’improvvisazione lo porta al successo, perché non si perde mai d’animo e con la facilità di esprimersi che lo caratterizza, egli sa immediatamente come presentarsi, inserirsi e capovolgere la situazione. Quello che lo spaventa di più è di vivere senza brio, nella noia. Questa necessità di continua eccitazione si ritrova nella vita sentimentale dei Gemelli. Non ci stupisce che un individuo così curioso di natura vada in cerca di avventure. Gentile, spiritoso, premuroso, comprensivo, pieno di risorse per rendere felice l’altro, capace anche di scrivere delle poesie, delle lettere d’amore, ma anche Maestro nell’arte di mentire e di svignarsela. Il suo lato razionale lo protegge dalle passioni, egli si sente anche poco maturo per lasciarsi coinvolgere in una storia seria, così preferisce le relazioni del tipo “breve rencontre”! Ma attenzione, non giudicare troppo severamente questo atteggiamento che appare egoista, perché sotto sotto esiste una paura di legarsi, di perdere la propria indipendenza, di soffrire.

Molto creativo, questo segno ama anche lavorare il legno, la pietra, il metallo. A dire la verità, questo segno sa fare tutto con le sue mani. La mano è il prolungamento del cervello ma... lo fa solo se ne ha voglia. Anche in questo caso protegge la sua libertà! Fragile di salute, questo individuo deve avere una buona igiene di vita. Il suo punto debole si trova nei polmoni, deve quindi evitare di fumare, deve nutrirsi adeguatamente e respirare aria pura il più spesso possibile..

07 marzo 2011

R.C.

Illuminati nell’ombra riflettono immagini

All'Interno dell'Interno.. PER NON DIMENTICARE!

" Allarme Scordato ".. Questo post l'ho pubblicato diverse volte, ogni 14 febbraio , poi a marzo, poi a novembre e forse lo ...