Qual'è la differenza tra l'intelligente e il furbo? L'intelligente sa che il furbo vive di "ignoranza conviviale" ed ingenuità, il furbo invece non sa che l'intelligente sa...
25 agosto 2011
22 agosto 2011
21 agosto 2011
20 agosto 2011
18 agosto 2011
17 agosto 2011
L'Ecloga: The passion of the dying...
Gli uomini sanno le cose presenti. Gli dei conoscono quelle future, assoluti padroni di ogni luce. Ma, del futuro, avvertono i sapienti ciò che s'appressa. Tra le gravi cure degli studi, l'udito ecco si turba d'un tratto. A loro giungono le oscure voci dei fatti che il domani adduce. Le ascoltano devoti. Fuori per via, la turba non sente nulla, con le orecchie dure. (C. Kavafis, I sapienti ciò che s'avvicina)
14 agosto 2011
La vita del piacere e la morte del dovere...
Di tempo ne è passato, volare nel ciel della vita mi è stato negato, mi credon morto ma io sono soltanto un aborto, son solo uno dei tanti che gli occhi non hanno mai aperto, sono quì ad aspettarne un esercito, siamo solo un ricordo del passato per chi non ci ha mai amato, son quì alla ricerca di qualcuno come te, che veda noi come un inno alla vita, la mia mamma non sapeva che si può morire ma non uccidere, molte mamme non sanno che chi uccide, purtroppo, è già "morto"... http://sorvegliato.wordpress.com/2010/01/22/bonino-e-il-metodo-della-pompa-delle-biciclette/
12 agosto 2011
11 agosto 2011
02 agosto 2011
30 luglio 2011
27 luglio 2011
Saggezza irrazionale...
Questo messaggio lo dedico ai folli.
A tutti coloro che vedono le cose in modo diverso.
Potete citarli...
Essere in disaccordo con loro...
Potete glorificarli o denigrarli, ma l'unica cosa che non potete fare è ignorarli!
Perchè riescono a cambiare le cose.
E mentre qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo il genio.
Perchè solo coloro che sono abbastastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero. (Gandhi)
A tutti coloro che vedono le cose in modo diverso.
Potete citarli...
Essere in disaccordo con loro...
Potete glorificarli o denigrarli, ma l'unica cosa che non potete fare è ignorarli!
Perchè riescono a cambiare le cose.
E mentre qualcuno potrebbe definirli folli, noi ne vediamo il genio.
Perchè solo coloro che sono abbastastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo, lo cambiano davvero. (Gandhi)
25 luglio 2011
14 luglio 2011
30 giugno 2011
L'invidia sovrasta le persone sciocche...
Vecchia fama nel mondo li chiama orbi; gent'è avara, invidiosa e superba: dai lor costumi fa che tu ti forbi. La tua fortuna tanto onor ti serba, che l'una parte e l'altra avranno fame di te; ma lungi fia dal becco l'erba. Divina Commedia - Inferno, Canto XV, Versi 67 - 72
L' etimologia della parola è il verbo invideo, cioè guardo dentro in una persona e provo dispiacere per il suo bene, il suo successo, le sue qualità morali o spirituali. E' un vizio vergognoso perchè è tristezza del bene altrui, considerato come dimunutivo del proprio valore personale: ecco perchè l' invidia non si manifesta esteriormente se non con la calunnia, la diffamazione e l' assassinio (da anima.inquieta).
28 giugno 2011
25 giugno 2011
16 giugno 2011
12 giugno 2011
Gesta indelebili...
C'era una volta un ragazzo con un brutto carattere.
Suo padre gli diede un sacchetto di chiodi e gli disse di piantarne uno nello steccato del giardino ogni volta che avesse perso la pazienza e litigato con qualcuno. Il primo giorno il ragazzo piantò 37 chiodi nello steccato. Nelle settimane seguenti, imparò a controllarsi e il numero di chiodi piantati nello steccato diminuì giorno per giorno: aveva scoperto che era più facile controllarsi che piantare i chiodi. Finalmente arrivò un giorno in cui il ragazzo non piantò alcun chiodo nello steccato. Allora andò dal padre e gli affermò che per quel giorno non aveva piantato alcun chiodo. Il padre allora gli disse di levare un chiodo dallo steccato per ogni giorno in cui non aveva perso la pazienza e litigato con qualcuno. I giorni passarono e finalmente il ragazzo poté dire al padre che aveva levato tutti i chiodi dallo steccato. Il padre portò il ragazzo davanti allo steccato e gli disse: "Figlio mio, ti sei comportato bene ma guarda quanti buchi ci sono nello steccato. Lo steccato non sarà più come prima. Quando litighi con qualcuno e gli dici qualcosa di brutto, gli lasci una ferita come queste. Puoi piantare un coltello in un uomo, e poi levarlo, ma rimarrà sempre una ferita. Non importa quante volte ti scuserai, la ferita rimarrà." (Da internet)
Suo padre gli diede un sacchetto di chiodi e gli disse di piantarne uno nello steccato del giardino ogni volta che avesse perso la pazienza e litigato con qualcuno. Il primo giorno il ragazzo piantò 37 chiodi nello steccato. Nelle settimane seguenti, imparò a controllarsi e il numero di chiodi piantati nello steccato diminuì giorno per giorno: aveva scoperto che era più facile controllarsi che piantare i chiodi. Finalmente arrivò un giorno in cui il ragazzo non piantò alcun chiodo nello steccato. Allora andò dal padre e gli affermò che per quel giorno non aveva piantato alcun chiodo. Il padre allora gli disse di levare un chiodo dallo steccato per ogni giorno in cui non aveva perso la pazienza e litigato con qualcuno. I giorni passarono e finalmente il ragazzo poté dire al padre che aveva levato tutti i chiodi dallo steccato. Il padre portò il ragazzo davanti allo steccato e gli disse: "Figlio mio, ti sei comportato bene ma guarda quanti buchi ci sono nello steccato. Lo steccato non sarà più come prima. Quando litighi con qualcuno e gli dici qualcosa di brutto, gli lasci una ferita come queste. Puoi piantare un coltello in un uomo, e poi levarlo, ma rimarrà sempre una ferita. Non importa quante volte ti scuserai, la ferita rimarrà." (Da internet)
06 giugno 2011
Il Festival delle frontiere (Tenda Berbera)
Il convegno tenuto dalla nota femminista islamica Malika Hamidi che prosegue senza tentennamenti la sua lunga battaglia a favore dei diritti delle donne.
http://frontierenews.it/2011/06/frontiere-news-al-festival-delle-culture-di-ravenna/
http://frontierenews.it/2011/06/frontiere-news-al-festival-delle-culture-di-ravenna/
02 giugno 2011
Profonda Mente: uno ha tradito, ricordi?
Erano undici o dodici gli apostoli ai quali è apparso il Risorto?
Nel versetto 5 cp. 15 di I Corinti si parla di «Gesù... apparso a Cefa e quindi ai Dodici». Vorrei una spiegazione teologica: perché si parla di dodici Apostoli e non di undici come erano in realtà? Giuda Iscariota non c’era più e ancora non era stato eletto Mattia a sostituirlo. In altri documenti, vedi Atti 1,13 ci sono anche i nomi degli undici (non dodici) Apostoli. In Lc 24,9 ugualmente si citano gli undici e così via.
Elena
Risponde don Stefano Tarocchi, Preside della Facoltà Teologica e docente di Teologia biblica
«Vi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me…» (1 Cor 15,3-8).
Il testo cui la domanda si riferisce, tratto dalla prima lettera di Paolo alla comunità di Corinto, contiene una delle più antiche confessioni di fede sulla risurrezione di Gesù, come troviamo anche in Rom 1,3-4: «il Vangelo … riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore».
Entrambi i testi riferiscono uno stadio della tradizione precedente all’apostolo, come lui stesso dichiara espressamente: «Vi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto» (1 Cor 15,3), e riguardo all’Eucaristia: «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane...» (1 Cor 11,23). I verbi che qui sono usati («trasmettere» - «ricevere») richiamano quelli usati nella tradizione rabbinica, quando un maestro consegnava oralmente al suo discepolo ciò che egli sapeva per via di un’analoga trasmissione.
Quanto all’insegnamento sulla risurrezione, ci si è interrogati se originariamente non fosse addirittura formulato nella lingua aramaica, o direttamente in quella greca, così come Paolo lo accoglie nel suo scritto, facendolo proprio. L’ipotesi migliore sembra la seconda, e ci riporta alla chiesa di Antiochia, in cui Paolo è presente dagli inizi degli anni 40 dell’era cristiana. La formula, tuttavia, è certamente più antica: si può dire che risale fino al decennio precedente, praticamente all’indomani della stessa risurrezione di Gesù.
La frase è costituita da quattro verbi: «morì», «fu sepolto», «è risuscitato il terzo giorno», «apparve», ma solo il primo e il terzo sono fondamentali nell’annuncio. Gli altri due verbi sono le conseguenze del centro dell’avvenimento: «Colui che è morto è stato risuscitato». E soprattutto, la sua morte è avvenuta «per i nostri peccati», come compimento delle Scritture (affermato due volte!).
Quanto alle manifestazioni del Risorto, ossia i momenti in cui i discepoli percepiscono l’avvenuta novità di vita, operata su Gesù, esse sono consegnate alla nostra fede. La lettrice giustamente avverte la difficoltà di interpretare il fatto che, mentre in 1 Corinzi si parla di «Dodici», di fatto dopo la risurrezione i discepoli sono soltanto undici, come affermano il vangelo di Luca e il libro degli Atti. Così leggiamo che le donne ritornate dal sepolcro «annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri» (Lc 24,9), e i due discepoli di Emmaus «partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro» (Lc 24,33). Così Mattia «fu associato agli undici apostoli» (At 1,26), i cui nomi sappiamo dalla lista di At 1,13.
Per la verità, questo particolare non sembra importante nelle manifestazioni di Gesù raccontate nel vangelo di Giovanni (Gv 20,18.19.26). Si parla solo di alcuni «discepoli» nell’episodio del mare di Galilea (cf. Gv 21,1-2.14). C’è però un dettaglio, che potrebbe far luce sull’intera questione: quando parla di Tommaso, il Vangelo di Giovanni dice: «uno dei Dodici, chiamato Dìdimo» (Gv 20,24; cf. 20,26; 21,2), senza preoccuparsi della sorte di Giuda dopo la passione.
Si può allora affermare che, anche nella lettera ai Corinzi, il numero Dodici, abbia un contenuto che va oltre il significato indicato dalla semplice cifra. Per essere precisi, in alcune tradizioni testuali della lettera di Paolo (dal V secolo in poi), i copisti tentarono di armonizzare l’apparente incoerenza, sostituendo «dodici» con «undici», ma senza reale necessità. Infatti, il numero Dodici indica qualcosa che richiama la scelta di Gesù, dal «valore ideale e quasi sacrale, intoccabile» (R. Penna): per cui prima si parla di Pietro da solo («apparve a Cefa») e quindi dei «Dodici». http://www.novena.it/il_teologo_risponde/teologo_risponde_33.htm
Nel versetto 5 cp. 15 di I Corinti si parla di «Gesù... apparso a Cefa e quindi ai Dodici». Vorrei una spiegazione teologica: perché si parla di dodici Apostoli e non di undici come erano in realtà? Giuda Iscariota non c’era più e ancora non era stato eletto Mattia a sostituirlo. In altri documenti, vedi Atti 1,13 ci sono anche i nomi degli undici (non dodici) Apostoli. In Lc 24,9 ugualmente si citano gli undici e così via.
Elena
Risponde don Stefano Tarocchi, Preside della Facoltà Teologica e docente di Teologia biblica
«Vi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me…» (1 Cor 15,3-8).
Il testo cui la domanda si riferisce, tratto dalla prima lettera di Paolo alla comunità di Corinto, contiene una delle più antiche confessioni di fede sulla risurrezione di Gesù, come troviamo anche in Rom 1,3-4: «il Vangelo … riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore».
Entrambi i testi riferiscono uno stadio della tradizione precedente all’apostolo, come lui stesso dichiara espressamente: «Vi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto» (1 Cor 15,3), e riguardo all’Eucaristia: «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane...» (1 Cor 11,23). I verbi che qui sono usati («trasmettere» - «ricevere») richiamano quelli usati nella tradizione rabbinica, quando un maestro consegnava oralmente al suo discepolo ciò che egli sapeva per via di un’analoga trasmissione.
Quanto all’insegnamento sulla risurrezione, ci si è interrogati se originariamente non fosse addirittura formulato nella lingua aramaica, o direttamente in quella greca, così come Paolo lo accoglie nel suo scritto, facendolo proprio. L’ipotesi migliore sembra la seconda, e ci riporta alla chiesa di Antiochia, in cui Paolo è presente dagli inizi degli anni 40 dell’era cristiana. La formula, tuttavia, è certamente più antica: si può dire che risale fino al decennio precedente, praticamente all’indomani della stessa risurrezione di Gesù.
La frase è costituita da quattro verbi: «morì», «fu sepolto», «è risuscitato il terzo giorno», «apparve», ma solo il primo e il terzo sono fondamentali nell’annuncio. Gli altri due verbi sono le conseguenze del centro dell’avvenimento: «Colui che è morto è stato risuscitato». E soprattutto, la sua morte è avvenuta «per i nostri peccati», come compimento delle Scritture (affermato due volte!).
Quanto alle manifestazioni del Risorto, ossia i momenti in cui i discepoli percepiscono l’avvenuta novità di vita, operata su Gesù, esse sono consegnate alla nostra fede. La lettrice giustamente avverte la difficoltà di interpretare il fatto che, mentre in 1 Corinzi si parla di «Dodici», di fatto dopo la risurrezione i discepoli sono soltanto undici, come affermano il vangelo di Luca e il libro degli Atti. Così leggiamo che le donne ritornate dal sepolcro «annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri» (Lc 24,9), e i due discepoli di Emmaus «partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro» (Lc 24,33). Così Mattia «fu associato agli undici apostoli» (At 1,26), i cui nomi sappiamo dalla lista di At 1,13.
Per la verità, questo particolare non sembra importante nelle manifestazioni di Gesù raccontate nel vangelo di Giovanni (Gv 20,18.19.26). Si parla solo di alcuni «discepoli» nell’episodio del mare di Galilea (cf. Gv 21,1-2.14). C’è però un dettaglio, che potrebbe far luce sull’intera questione: quando parla di Tommaso, il Vangelo di Giovanni dice: «uno dei Dodici, chiamato Dìdimo» (Gv 20,24; cf. 20,26; 21,2), senza preoccuparsi della sorte di Giuda dopo la passione.
Si può allora affermare che, anche nella lettera ai Corinzi, il numero Dodici, abbia un contenuto che va oltre il significato indicato dalla semplice cifra. Per essere precisi, in alcune tradizioni testuali della lettera di Paolo (dal V secolo in poi), i copisti tentarono di armonizzare l’apparente incoerenza, sostituendo «dodici» con «undici», ma senza reale necessità. Infatti, il numero Dodici indica qualcosa che richiama la scelta di Gesù, dal «valore ideale e quasi sacrale, intoccabile» (R. Penna): per cui prima si parla di Pietro da solo («apparve a Cefa») e quindi dei «Dodici». http://www.novena.it/il_teologo_risponde/teologo_risponde_33.htm
30 maggio 2011
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