La copia della Sacra Sindone tra storia, verità e… “fantasia”.
“Extractum ab originali”, è la frase impressa nella copia del drappo
sacro esposto nella chiesa di San Francesco sita a Borgo, una frazione
di Arquata del Tronto (AP). Tutto, o quasi, è stato scritto su di essa
in libri, articoli e documentazioni varie. Per questo motivo, iniziare
un altro elaborato su questo tema, è cosa assai ardua. Il “coraggio”,
per intraprendere questa iniziativa, è alimentato solo dalla convinzione
che ogni pensiero possa essere espresso liberamente rispettando sempre e
comunque quello degli altri. Detto questo, provo ad esprimerlo “nec
spes nec metu”. La storia della Sindone di Arquata, come predetto, è già
nota, quindi, ne riporto solo le parti salienti semplicemente per far
entrare il lettore in sintonia con l’argomento. Come risulta dai
documenti rinvenuti, detta copia fu fatta eseguire il primo maggio 1655
su richiesta del vescovo Giovanni Paolo Bucciarelli. In quel periodo il
monsignore, era segretario del Cardinale Federico Borromeo cugino di
Carlo Borromeo, conosciuto come gran “contemplatore” di Cristo
crocifisso e devoto viscerale della Sacra Sindone, poi canonizzato da
Papa Paolo V nel 1610 (ndr). L’anno successivo, il “pastore” di origine
arquatana morì. Il piccolo comune ascolano, avendo ricevuto in dono
questa reliquia, la consegnò ai frati francescani di Borgo che la
custodirono con cura e devozione. L’ultima volta che fu messa a contatto
con il Sudario torinese, anche se ci sono state altre opportunità più
recenti, risale al 1931 in occasione della pubblica ostensione. La sua
ultima apparizione in pubblico, invece, è riconducibile al periodo della
seconda guerra mondiale. Poi, non se ne seppe più nulla, fino alla
ristrutturazione della chiesa dedicata a San Francesco, avvenuta a
cavallo tra il 1980 e il 1981. Il telo di lino sacro fu ritrovato ben
piegato all’interno di un’urna dorata nascosta dentro una nicchia di un
altare. Una storia davvero avvincente che lambisce misteriosamente
quella della sindone originale. Questa copia, appunto, non è una
semplice raffigurazione del sudario di Torino ma, come già detto, un
estratto dall’originale. Ciò dovrebbe significare che l’uomo non ha
messo mano alla sua realizzazione. Ci sono tante altre riproduzioni in
giro per l’Europa, ma, tutte, hanno delle caratteristiche che si
differenziano sia da quella originale sia da quella esposta nel comune
piceno. La verità sul telo sindonico è suffragata dalle pergamene
rinvenute. Naturalmente, tutti gli atti ritrovati o presenti negli
archivi storici, non possono essere messi in discussione in quanto
originali, così come sono veritiere, tutte le fonti cui si è attinto per
scrivere gli avvenimenti del passato. In altre parole, è come se ci si
trovasse di fronte ad una verità incontrovertibile basata su atti coevi
di data certa. L’unica incertezza riguarda solo il come sia stata
riprodotta, anche se è difficile per i fedeli, non credere a una
trasposizione miracolosa. In ogni caso, anche la stessa Sacra Sindone di
Torino non ha tutte le peculiarità che ha quella di Arquata del Tronto,
anzi, diversi studiosi hanno messo addirittura in discussione la sua
autenticità. Naturalmente, è più facile risalire alla creazione di una
copia piuttosto che a un originale risalente a più di duemila anni fa.
La realtà sul sudario di Arquata, dunque, è “confermata” dalla sua
storia. Ora, proprio in base ad avvenimenti realmente accaduti, vengono
alla mente delle ipotesi che si basano su fantateorie che possono avere
una chiave di lettura del tutto differente. La fantasia, come si sa, al
contrario della realtà è creativa e basa le proprie fondamenta sui
pensieri “logici” di una visuale intima e immaginaria dando “voce” al
proprio estro più recondito e, il suo ruolo più difficile, è proprio
quello di mettere in risalto l’invisibilità di una possibile verità,
ovvero, far risaltare lo scritto su un foglio bianco senza utilizzare
alcun tipo di contrasto. Su quanto anticipato e su quello che seguirà,
offro la seguente chiave di lettura: “nullius in verba”. Andiamo per
ordine. Molti sanno che la prima “apparizione” della Sacra Sindone è
avvenuta in Francia nel 1353 nelle mani di Goffredo di Charny,
discendente dell’omonimo cavaliere templare. Questa data è molto
importante, infatti, si inserisce perfettamente nel periodo indicato dai
risultati scientifici ottenuti nel 1988 in tre laboratori di ricerca
diversi, utilizzando una tecnica definita “carbonio 14”. Secondo gli
studiosi che hanno eseguito il test, il telo di lino risalirebbe ad un
periodo storico che va dal 1260 al 1390. Potrebbe essere, dunque, quello
che ha avvolto un uomo crocifisso ma non sarebbe lo stesso utilizzato
per coprire Gesù. La risposta di queste analisi combacia perfettamente
anche con i documenti ufficiali della Chiesa. Nel 1390, infatti, Papa
Clemente VII su indicazione del vescovo di Troyes (luogo dove furono
ufficializzati i cavalieri templari), emanò quattro bolle con le quali
permise sì l’ostensione ma con l’obbligo di dire a voce alta, che il
telo non era il vero sudario di nostro Signore Gesù Cristo ma un
semplice dipinto fatto a sua imitazione. Davvero curioso. D’altro canto,
invece, alcuni studiosi che tentano di ricostruire la storia della
Sacra Sindone per il periodo antecedente al XIII secolo, sostengono che
il sudario sia proprio il Mandylion o “immagine di Edessa”. Esso è
rappresentato come un telo di piccole dimensioni che raffigurava solo il
volto del Cristo, conservato appunto a Edessa (oggi Urfa) in Turchia
dal 544 al 944 d.C., per poi essere trasferito a Costantinopoli. Sempre
secondo loro, sarebbe rimasta lì fino al 1204, quando la città fu
saccheggiata dai crociati che nella circostanza asportarono molte
reliquie. Per rendere verosimile la loro tesi, ipotizzano che il piccolo
telo di lino non era altro che la Sacra Sindone ripiegata su se stessa
per otto volte e chiusa in un apposito reliquario che consentiva di
vederne solo il volto. In questo modo, si oppongono fermamente alla
datazione del sudario stabilita con l’innovativa tecnica del carbonio
14. Strano, ci si chiede com’è possibile sostenere così fortemente
quest’ultima teoria se un pontefice ha “ammesso” ufficialmente che il
lenzuolo di cui trattasi è falso? Bene, anche questa è supportata da una
bolla papale del 1506 emanata da S.S. Giulio II, con la quale ribaltò
il giudizio del suo predecessore e ne autorizzò il culto pubblico con
regolare messa e Ufficio proprio. La situazione sembra ingarbugliarsi,
difficile esprimersi sia a favore che contro. Questo chiarimento
ufficiale della Santa Sede, comunque, consentì la diffusione delle copie
della Sindone, tra le quali appunto quella di Arquata. Ritornando alla
sindone originale, voglio raccontare un aneddoto storico molto
singolare. Il 4 dicembre 1532 la reliquia rischiò di essere distrutta a
causa di un incendio avvenuto nel luogo in cui si trovava: la Sainte
Chapelle del castello di Chambéry. Cosa c’è di così singolare? Presto
detto: dopo il rogo, il duca di Savoia, titolare della reliquia, chiese
poi a papa Clemente VII di Roma, di nominare una commissione per
eseguire un controllo sul lenzuolo sacro; S.S. incaricò alcuni vescovi
che, dopo averla esaminata, il 15 aprile del 1534 certificarono che il
telo era sicuramente quello autentico. Incredibile, cosa spinse il
monarca a fare questa richiesta? Aveva forse notato qualche divergenza
tra il telo precedente e quello uscito incolume dalle fiamme?
Difficilmente si potrà sapere ma un fatto è certo, il Duca fece fare
l’accertamento. Dopo questo avvenimento, la Sacra Sindone si spostò in
varie parti d’Europa facendo ritorno a Chambéry. In seguito, i Savoia
trasferirono la loro capitale a Torino ma il cimelio rimase in Francia.
Come già accennato, uno dei più grandi devoti del lenzuolo funebre di
Cristo, fu Carlo Borromeo. Questi, nel 1578, per sciogliere un voto
fatto durante la pestilenza di Milano avvenuta nei due anni precedenti,
decide di recarsi a piedi a Chambéry a far visita al telo che riportava
impressa l’immagine del corpo di Cristo crocifisso. Emanuele Filiberto,
sapute le sue intenzioni, per abbreviare il viaggio dell'illustre
prelato, dispose lo spostamento della reliquia a Torino. Il viaggio del
cardinale durò solo quattro giorni e, una volta giuntovi, si mise in
preghiera davanti alla reliquia e partecipò alle quaranta ore di
ostensione. Da allora, salvo qualche breve trasloco, qui è rimasta e in
seguito, Umberto II di Savoia, ultimo Re d’Italia, la donò al Papa.
Queste particolari situazioni storiche, m’inducono a pormi questa
domanda: devo credere a quelli che dicono che la Sacra Sindone è vera
oppure a chi afferma il contrario? Al di la del fatto che la risposta
non dovrebbe minimamente intaccare la fede di nessuno, formulo delle
mere ipotesi che possano mettersi in contrasto con il “vuoto” creato
dalle ambigue informazioni ufficiali. Ai sostenitori dell’autenticità
del telo sindonico e ai credenti vorrei ricordare che la persona
raffigurata nel telo miracoloso di Torino, oltre alla datazione
accertata da scienziati di tutto rispetto con il metodo del carbonio 14,
sembrerebbe riportare la frattura del setto nasale (osso etmoide). Che cosa vuol dire? A mio
avviso, ciò non corrisponderebbe
con quanto indicato nelle scritture (Isaia): “nessun osso gli sarà spezzato” e
quindi con le stesse parole di Dio in quanto per spezzato si intende rotto (nisi crediteritis non intelligetis). La Sindone di Arquata, come
già detto in preambolo, è un “Extractum ab originali”, cioè, un’immagine
creatasi con la sola trasposizione della stessa con quella originale. Oltre alle tante differenze
oggettive tra i due teli (tra le quali il naso), osservandola
attentamente viene da chiedersi: perché non si fa uno studio
approfondito sull’autenticità della stessa che possa diramare i dubbi
dei credenti e dire con certezza che l’uomo non è l’artefice di tale
immagine? Sarebbe interessante svelare l’arcano della Sindone originale
con l’aiuto di una “copia”. Si teme forse di fornire prova certa? Non
so, ma penso che gli “interessati” non debbano sapere o avere alcuna
certezza fino a quando non arriverà il “momento” opportuno. “Onus
probandi fidelibus”! (Massimo Maravalli)
Articolo già postato ad aprile 2011