Io vidi più di mille in
su le porte da ciel piovuti, che stizzosamente dicean: «Chi è
costui che sanza morte va per lo regno de la morta gente?». E 'l
savio mio maestro fece segno di voler lor parlar segretamente. Allor
chiusero un poco il gran disdegno, e disser: «Vien tu solo, e quei
sen vada, che sì ardito intrò per questo regno. Sol si ritorni per
la folle strada: pruovi, se sa; ché tu qui rimarrai che li ha'
iscorta sì buia contrada». Pensa, lettor, se io mi sconfortai nel
suon de le parole maladette, ché non credetti ritornarci mai. «O
caro duca mio, che più di sette volte m'hai sicurtà renduta e
tratto d'alto periglio che 'ncontra mi stette, non mi lasciar»,
diss'io, «così disfatto; e se 'l passar più oltre ci è negato,
ritroviam l'orme nostre insieme ratto». E quel segnor che lì m'avea
menato, mi disse:«Non temer; ché 'l nostro passo non ci può tòrre
alcun: da tal n'è dato. Ma qui m'attendi, e lo spirito lasso
conforta e ciba di speranza buona, ch'i' non ti lascerò nel mondo
basso». Così sen va, e quivi m'abbandona lo dolce padre, e io
rimagno in forse, che sì e no nel capo mi tenciona. Udir non potti
quello ch'a lor porse; ma ei non stette là con essi guari, che
ciascun dentro a pruova si ricorse. Chiuser le porte que' nostri
avversari nel petto al mio segnor, che fuor rimase, e rivolsesi a me
con passi rari. Li occhi a la terra e le ciglia avea rase d'ogne
baldanza, e dicea ne' sospiri: «Chi m'ha negate le dolenti case!».
E a me disse:«Tu, perch'io m'adiri, non sbigottir, ch'io vincerò la
prova, qual ch'a la difension dentro s'aggiri. Questa lor tracotanza
non è nova; ché già l'usaro a men segreta porta, la qual sanza
serrame ancor si trova. Sovr'essa vedestù la scritta morta: e già
di qua da lei discende l'erta, passando per li cerchi sanza scorta,
tal che per lui ne fia la terra aperta». (D. C. - Inferno, Canto VIII, Versi 82
- 130)
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04 dicembre 2014
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